Eredità e Comportamento

Differenziazione Comportamentale nel Corso della Selezione dei Diversi Raggruppamenti Raziali

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    EREDITÀ E COMPORTAMENTO
    Il presente lavoro vuole descrivere, a grandi linee, il processo con cui si sono differenziate dal punto di vista comportamentale le diverse razze canine. I gruppi di razze saranno presi in considerazione in base alla funzione che originariamente possedevano ed era quindi perseguita nei programmi di selezione negli allevamenti. L’obiettivo del lavoro è fornire al Medico Veterinario Generalista la possibilità di informare il futuro proprietario in relazione alle caratteristiche comportamentali dei vari gruppi razziali: conoscendone l’attitudine, può essere più facile prevedere se un individuo di una data razza ha buone probabilità di adattarsi allo stile di vita del futuro proprietario ed alle aspettative di quest’ultimo. Il valore predittivo di questo tipo di valutazione è ovviamente approssimativo in quanto a fianco delle promesse genetiche di un individuo deve essere considerato il ruolo svolto dalle condizioni ambientali, come ad esempio le esperienze precoci e l’educazione messa in atto dal proprietario.

    ANTONIO ANDINA
    Medico Veterinario Bologna
    Veterinario.it
    Sisca Observer, Anno 6, Numero 2, Dicembre 2002 1

    DIFFERENZIAZIONE COMPORTAMENTALE DELLA SPECIE CANIS FAMILIARIS NEL CORSO DELLA SELEZIONE DEI DIVERSI RAGGRUPPAMENTI RAZZIALI
    Purtroppo solo un ridotto numero di futuri proprietari sceglie di consultare il Medico Veterinario prima di prendere un cucciolo: se fosse possibile realizzare più frequentemente una visita pre-adozione, molto probabilmente il livello di reciproca soddisfazione nel rapporto tra proprietario e cane sarebbe più elevato.
    Il Medico Veterinario Generalista dovrebbe essere una figura di riferimento per indirizzare verso una scelta consapevole i futuri proprietari, informandoli sulle necessità etologiche della specie, ridimensionando aspettative che si rifanno a “miti e credenze popolari”, e cercando di scoprire se nella gestione famigliare esista la possibilità di soddisfare i fabbisogni dell’animale. Un cane non è alla portata di tutti!
    Le razze di cani ufficialmente riconosciute sono più di 400 e variano per taglia dal kg scarso del Chihuahua all’oltre un quintale del San Bernardo. Questa enorme variabilità di forma e dimensione, frutto di millenni di selezione da parte dell’uomo, si accompagna ad una pari variabilità nell’espressione dei comportamenti tipici di specie.
    È impensabile che il lungo e articolato processo evolutivo che a partire dal lupo (Canis lupus) ha consentito di arrivare al cane (Canis familiaris) in tutte le varietà che esistono oggi, non abbia modificato in maniera diversa da razza a razza il complesso etogramma di questo predatore. Sono sorte in ambito scientifico diverse diatribe sull’origine evolutiva del cane.
    Dal punto di vista genetico si è potuto riscontrare una corrispondenza quasi completa tra il DNA di lupo e quelli di cane, sciacallo e coyote (Rispettivamente Canis lupus, C. Familiaris, C. Aureus e C. Latrans). Studi che analizzano il DNA mitocondriale possono supportare l’ipotesi che tutti questi animali derivino da un antenato comune, molto simile al lupo, di cui si possono praticamente considerare sottospecie. Lupo, cane, sciacallo e coyote infatti sono in grado, se incrociati, di dare prole feconda e sono contraddistinti unicamente da differenze di natura ecologica ed etologica, oltre che morfologica (Clutton-Brock, 1995).
    Dal punto di vista sociale questi animali hanno adottato strategie diverse, a seconda del tipo di risorse ambientali disponibili, come anche lo stesso lupo varia la composizione numerica del branco a seconda del tipo di prede che deve cacciare. Lo sciacallo ed il coyote sono monogami, il lupo può vivere solitario, in gruppi famigliari o in grandi branchi (Abrantes, 1997), il cane a sua volta può adottare tutte queste strategie sociali. Alcuni cani vivono agevolmente in mute numerose senza conflitti, altri tollerano a malapena un esemplare di sesso opposto per il periodo dell’accoppiamento. Per meglio comprendere il comportamento del cane è bene analizzare le caratteristiche che oltre 12.000 anni fa hanno fatto sì che l’uomo lo scegliesse come primo animale domestico.
    I più antichi reperti archeologici che possono confermare una convivenza di uomini e cani risalgono al periodo Mesolitico, circa 10.000 anni prima di Cristo (Davis e Valla, 1978). Si può ipotizzare che la prima funzione utile svolta dal cane fosse quella di sentinella avvisatrice: i cani selvatici/lupi avevano probabilmente cominciato a vivere intorno agli insediamenti umani cibandosi dei residui alimentari che reperivano nelle discariche (altra funzione utile proprio questa di spazzini) e quando qualcuno (uomo o animale) si avvicinava avvisavano che il territorio era stato “invaso”. Questo servizio era sicuramente molto utile in un mondo ancora frequentato da temibili fiere e tribù nemiche.
    La convivenza più stretta con il lupo ha permesso all’uomo di notare la grande efficacia predatoria, spesso frutto del lavoro di gruppo, di questo animale. Il passo successivo della coevoluzione delle due specie è stato quello di collaborare nella caccia e successivamente nella sorveglianza degli armenti poiché da cacciatore-raccoglitore l’uomo stava diventando coltivatore e allevatore. L’uomo ha attuato un processo di selezione artificiale. Il criterio con cui venivano scelti i soggetti che potevano accedere alla riproduzione e acquisire così la possibilità di trasmettere il loro corredo genetico alle generazioni successive era quello di privilegiare i soggetti più efficaci nel lavoro. Ciascun comportamento può essere considerato come una sequenza di schemi motori, che ne sono le componenti elementari. Il modo in cui ogni schema motorio viene eseguito da un individuo è condizionato da come lo specifico assetto genetico dello schema stesso è stato elaborato in base all’esperienza. Comportamenti geneticamente programmati hanno bisogno comunque di essere attivati, e modulati, spesso in periodi critici o situazioni specifiche. Per esempio il comportamento materno ha una forte base istintiva, ma viene notevolmente migliorato dall’apprendimento che ha avuto luogo in eventuali parti precedenti o assistendo all’allevamento di cucciolate di altre femmine (spesso la madre stessa della fattrice).
    Esiste comunque un limite oltre il quale l’ambiente non è in grado di influenzare l’intensità con cui si manifesta un comportamento determinato geneticamente: non è possibile far comparire repertori assenti o cancellare quelli presenti.
    Per esempio un cane da seguita è selezionato per abbaiare durante l’inseguimento e può tendere a farlo anche in altre circostanze in cui è eccitato. Nel caso in cui uno di questi cani durante la caccia non abbaiasse, sarebbe piuttosto improbabile riuscire ad insegnarglielo in quanto la base del comportamento è genetica. Molti dei comportamenti del cane sono riconoscibili nel comportamento predatorio ancestrale in cui viene eseguita una sequenza di atti contraddistinta dalla successione di fasi consecutive concatenate: localizzazione - sguardo - avvicinamento - inseguimento - morso per immobilizzare - morso per uccidere - consumo (Coppinger e Coppinger, 2001). Si può osservare come nei comportamenti tipici delle varie razze l’uomo abbia abilmente modulato questa sequenza interrompendola prima del completamento, ipertrofizzandone alcune fasi e/o sopprimendone altre.
    Nelle differenti razze gli schemi motori cambiano quindi sia per l’effettiva presenza, che per intensità e frequenza di apparizione (o facilità ad essere evocati). Si possono così vedere cani che mettono in atto tutta la sequenza, come per esempio i segugi che trovano, scovano, inseguono e uccidono la volpe, o cani che arrivano all’immobilizzazione della preda ma non la uccidono, come i levrieri arabi poiché il musulmano non può consumare carne di animali non uccisi da uomini, quindi il cane deve solo immobilizzare la preda, ma non la può finire. Alcuni cani invece si limitano a localizzare e avvistare, poi interrompono la sequenza predatoria esasperando la fase di avvistamento con un’immobilità molto spettacolare come la ferma.
    Attraverso la selezione è stato possibile modulare anche l’espressione di schemi motori legati alla socializzazione ed alla capacità di comunicare, in particolare nelle diverse razze è stato notevolmente influenzato il comportamento agonistico. Sostanzialmente non vi sono grosse differenze nelle modalità con cui i cani competono, ma la variazione è nella facilità con cui i suddetti comportamenti possono essere evocati: alcuni cani hanno per esempio eliminato o sensibilmente ridotto la capacità di recepire segnali di sottomissione o di interrompere un’aggressione per preservare la propria integrità come i cani da combattimento o quelli da caccia in tana (Scott e Fuller, 1965).
    Attraverso la selezione possono comunque anche comparire repertori comportamentali agonistici nuovi, e per esempio è stato ottenuto un ceppo di cani da combattimento che prima dell’attacco colpisce con il petto l’avversario per sbilanciarlo incrociando i soggetti che casualmente presentavano questo comportamento (Coppinger, 2001). Si potrebbe andare avanti all’infinito a fare esempi di come l’uomo ha pescato a suo piacimento nel “calderone” dei repertori comportamentali del cane isolando quei comportamenti o quelle sequenze di schemi motori che più gli facevano comodo. Fino alla seconda metà dell’800 le razze che noi oggi conosciamo praticamente non esistevano. Solo allora l’uomo ha cominciato a mettere in atto programmi di allevamento zootecnicamente evoluti, in cui gli individui erano isolati sessualmente e veniva effettuata una vera e propria selezione artificiale, registrando poi gli accoppiamenti nei libri genealogici ed impedendo la riproduzione dei soggetti non iscritti ai suddetti libri.
    Il criterio prevalentemente utilizzato sino a quel momento per identificare gli elementi degni di trasmettere le loro caratteristiche alle generazioni successive era quello di scegliere gli individui che meglio sapevano svolgere un lavoro specifico. I caratteri morfologici il cui valore è prevalentemente “cosmetico” come colore o lunghezza del mantello, portamento delle orecchie o della coda e così via, sono stati presi in seria considerazione per la prima volta in quel periodo. Purtroppo oggi le differenze morfologiche vengono spesso superficialmente considerate essere le uniche tra le varie razze e la selezione si basa esageratamente su di esse a discapito della conformazione caratteriale.
    Il profilo comportamentale di un individuo di una data razza è l’espressione di un assetto genetico esattamente come lo possono essere caratteri morfologici: il modo di reagire agli stimoli ambientali è in funzione anche di una differente distribuzione e quantità dei neurotrasmettitori nelle diverse sezioni del cervello. È stato rilevato che razze canine con tendenze reattive diverse hanno un diverso assetto di neurotrasmettitori come la dopamina e altre monoamine, direttamente coinvolte nell’attivazione delle vie neuronali alla base di comportamenti come la predazione o l’aggressione (Arons e Shoemaker, 1992). Un cane da lavoro porta in sé dei repertori comportamentali notevolmente specializzati, e solidamente radicati nel suo patrimonio genetico attraverso generazioni di incroci. La presenza di quelle caratteristiche, apparentemente innate è spesso definita “istinto”.
    A differenza dei lupi, anche addomesticati, i cani sono addestrabili a compiere lavori in collaborazione con l’uomo. La possibilità di essere addestrati non è uguale in tutti i cani. Il cane è come l’uomo una specie neotenica, cioè che conserva anche da adulto modalità infantili di apprendere o relazionarsi con l’ambiente e con gli altri individui (per esempio è più facilmente portato a socializzare con specie diverse dalla sua). La compresenza di schemi motori adulti con quelli giovanili durante la lunga fase evolutiva offre alle specie neoteniche una maggiore plasticità comportamentale: l’adolescente può organizzare gli schemi motori in sequenze nuove mescolando quelli dell’adulto (in genere strutturati in sequenze funzionali fisse) con quelli infantili. Si vengono ad ottenere successioni che non erano disponibili negli schemi originari.
    Di solito il processo di apprendimento in cui comportamenti adulti vengono messi in atto “fuori contesto” in sequenze non funzionali al conseguimento di obiettivi apparenti viene definito gioco. Sfruttando la sua propensione a giocare l’uomo può far eseguire al cane gli schemi motori della specie organizzati in nuove sequenze, ottenendo così comportamenti per lui utili. Questo è quello che avviene nell’addestramento. Le razze più facilmente addestrabili sono quelle più neoteniche, quindi più plastiche nelle modalità di apprendimento (Coppinger e Shneider, 1995). L’addestramento può rendere massimamente produttive le tendenze intrinseche dell’animale, “tirandole fuori” al meglio e modulandone le modalità espressive, ma non può in nessun modo determinare la presenza di schemi motori che hanno una base genetica. Per esempio si può insegnare al cane a mantenere la posizione di ferma per un tempo più lungo, dando modo al cacciatore di organizzarsi al meglio per sparare al selvatico, ma non si riuscirà mai a far mettere in ferma un cane che non ha questa tendenza.
    Il cane deve spesso eseguire compiti complessi in cui la sua libertà di esprimere i comportamenti di specie è imbrigliata in una sequenza artificialmente controllata dall’uomo e priva di un significato etologico. Camminare, per esempio, è un comportamento normale per il cane, farlo a dieci centimetri dal ginocchio sinistro del conduttore che ha appena pronunciato le parole “Al Piede” è il frutto di un addestramento specifico. In questi casi la valenza della selezione artificiale è quella di privilegiare i soggetti fisicamente meglio conformati per il compito da svolgere, e con tendenze reattive ed emozionali le più adeguate possibile al lavoro, che dovrà comunque essere insegnato con l’addestramento. È stata comunque documentata l’ereditabilità di particolari conformazioni comportamentali, anche molto specifiche come per esempio la posizione in cui i cani Dalmata si mettono mentre seguono la carrozza (Coren, 1996) o l’ampiezza della curva di avvicinamento al gregge dei Border Collies (Coppinger, 2001). È risultato invece più difficoltoso identificare le modalità in cui si trasmettono caratteristiche comportamentali più complesse come quelle che consentono di riuscire nel lavoro ai cani da caccia, guida per ciechi, e altro: nei diversi lavori sono state trovate effettivamente relazioni tra le capacità performative dei genitori e quelle dei figli, ma non sempre fisse. Probabilmente questa relazione incostante si può spiegare considerando il fatto che comportamenti complessi come quelli che consentono di lavorare ai cani da cieco, o da caccia sono risultato dell’espressione di un grande numero di geni che si può organizzare in infinite maniere diverse, inoltre risulta più difficile misurare e confrontare i risultati di queste attività (Willis, 1995). Prima di passare ad una descrizione dei comportamenti dei vari gruppi di razze è bene mettere in chiaro il fatto che una classificazione di questo tipo consente di effettuare previsioni di tipo approssimativo sull’effettivo carattere di un individuo: il comportamento è condizionato da una molteplicità di fattori tra cui la componente puramente ereditaria è rilevante, ma non certo preponderante. L’ambiente di sviluppo e gli apprendimenti, con particolare influenza di quelli avvenuti nei periodi di sensibilità, condizionano sicuramente l’indole e la reattività del singolo. Il tipo di previsione che si può fare sulla base della razza è tendenzialmente di tipo probabilistico: se noi prendiamo per esempio 30 cuccioli di setter di tre mesi e li mettiamo di fronte ad una quaglia noteremo che la maggior parte tenderà a mettersi in ferma, ma è improbabile che lo facciano tutti, e quelli che non fermano rimangono comunque dei setter. Nel momento in cui si decide di adottare un cane di razza bisogna prendere in considerazione anche diversi altri fattori come sesso, taglia, e similitudine tra la vocazione originaria ed il reale utilizzo che se ne farà.

    Fonte www.canilistatali.it

    Facciamo un po' di esempi:

    I SEGUGI

    Se già nella specie canina l’olfatto è un senso molto importante, in questi cani lo è ancora di più. Fin da cuccioli rispetto agli individui di altre razze privilegiano l’uso dell’olfatto rispetto agli altri sensi, e la loro abilità nel seguire le tracce è già significativamente maggiore rispetto a quella di altri cani come per esempio i Terrier (Scott e Fuller, 1965).
    I segugi devono localizzare una traccia, seguirla con costanza, anche in condizioni di difficoltà, seguendo debolissime emanazioni. Caratteristica indispensabile è una solida tenacia, ai limiti della cocciutaggine. Durante la caccia i segugi mantengono un legame non molto stretto con il cacciatore, con cui comunicano a distanza tramite un uso articolato della voce. Il cane dispone di una certa libertà di decisione e indipendenza nel lavoro che conserva anche nella vita quotidiana.
    Molti segugi lavorano in squadra, dividendosi i ruoli come degli specializzati battitori, sono quindi cani in grado di vivere in gruppo, strutturando la muta in gerarchie ben evolute. Pur con differenze tra razza e razza la tendenza a lottare dei segugi è bassa, sarebbe infatti controproducente per animali che devono vivere in gruppo. Sono al contrario ben sviluppati i repertori di ritualizzazione gerarchica dei conflitti.
    La fase ipertrofizzata della sequenza predatoria è l’inseguimento, che può prevedere anche complesse tecniche di accerchiamento volte a portare la preda a portata del cacciatore/capobranco, che come nei lupi detiene il diritto di apportare l’attacco letale. Molti segugi non portano a termine la predazione ma si limitano ad inseguire in quanto la sequenza predatoria si è arrestata a livello dell’inseguimento, altri possono avere anche il morso per afferrare o addirittura la sequenza completa (escluso forse il consumo finale della preda).
    Vi sono differenze nella propensione alla lotta a seconda del tipo di selvaggina verso cui si sono specializzati: quelli che vengono usati prevalentemente per cacciare la lepre, ed eventualmente il capriolo, sono meno combattivi meno portati a mettere in atto comportamenti di aggressione rispetto ai cani usati con cinghiali, volpi e altri animali di taglia maggiore e indole più minacciosa (puma, giaguaro, leone e così via). I segugi sono prevalentemente cani da lavoro, tendenzialmente piuttosto specializzati, per il tipo di preda cacciata e per le tecniche utilizzate. La conformazione dei repertori lavorativi si basa più sulla componente istintiva (geneticamente trasmessa da una generazione all’altra) che non su apprendimenti conseguiti attraverso tecniche addestrative. Sicuramente sono cani meno versatili e plastici nell’addestramento rispetto ai pastori o ad altri cacciatori come Retriever, Spaniel o cani da ferma. I soggetti appartenenti a razze prettamente da lavoro potrebbero essere non proprio adatti come compagni “di casa”.
    Riassumendo tra le caratteristiche dei segugi, possono essere problematiche la caparbietà, l’indipendenza, il fortissimo impulso a seguire tracce odorose e la tendenza ad abbaiare.
    Tra i vantaggi la bassa aggressività e la facilità a vivere in un gruppo (anche di umani). Vi sono notevoli differenze nell’adattabilità a vivere in casa come cani da compagnia tra i soggetti appartenenti a razze prettamente da lavoro, o a linee di sangue usate solo per la caccia, rispetto a quei cani che da più tempo sono approdati ai salotti per un aspetto fisico particolarmente accattivante (le orecchie pendule che caratterizzano tutto il gruppo hanno un forte fascino).
    Tra i più diffusi segugi “da compagnia” il Beagle e Bassethound, entrambi cani piacevolissimi per la vita in famiglia, ma non privi di problemi: hanno un tale impulso a seguire il proprio naso, sordi ad ogni richiamo (più il Beagle che non il Basset), che costringono molti proprietari a tenerli permanentemente al guinzaglio quando sono all’aperto. Tra i segugi è stato inserito per una certa affinità morfologica anche il Dalmata, che però non è praticamente mai stato usato come cane da caccia, mentre veniva usato per accompagnare le carrozze e difenderle da eventuali aggressioni.
    Altra vittima eccellente della moda per il suo mantello unico e la pubblicità di alcuni film, questo splendido cane è stato spesso oggetto di adozioni avventate e conseguenti abbandoni. Non tutti, infatti, sono preparati a orientare il dispendio di inesauribili energie di un cane nato per fare chilometri di corsa e costretto a percorrerli in un appartamento cittadino. Diverse razze di segugi sono presenti in più versioni di taglia e pelo, per adattarsi meglio nello stile di lavoro alle esigenze dei disparati tipi di selvaggina, ambienti e anche cacciatori.
    La riduzione della taglia spesso è ottenuta non con una diminuzione assoluta, ma con l’accorciamento degli arti (conservando e selezionando in purezza i portatori di una mutazione casuale). I cani così ottenuti, detti “bassetti” (Bassethound, Basset Artesian Normand, Basset Ardeane Vandeen e così via) sono più lenti e riflessivi e meglio si adattano ad un cacciatore che va a piedi (le mute di segugi in origine erano seguite a cavallo) o ad una persona che non va a caccia ma si limita a passeggiare. Altro segugio sui generis è il Rodesian Ridgeback, cane africano ottenuto mescolando segugi occidentali con cani da caccia locali, specializzato nella caccia al leone e ad altre prede di grosse dimensioni (successivamente il suo ardore nella seguita e la sua combattività sono stati utilizzati nel barbaro lavoro dell’inseguimento degli schiavi fuggiti). È caratterizzato da un maggior coraggio e da una più spiccata combattività.

    I LEVRIERI

    I levrieri sono forse i cani di razza più antichi, e praticamente hanno conservato inalterata la loro forma nei secoli, caso abbastanza unico nel panorama delle razze canine che si sono evolute nel corso della loro storia, cambiando sensibilmente anche nel giro di pochi decenni.
    Esistono rappresentazioni di cani quasi identici agli attuali fin dai geroglifici egizi, passando per affreschi rinascimentali e stampe ottocentesche. Il gruppo è decisamente omogeneo: cambiano da una razza all’altra quasi solo la taglia e il mantello.
    La forma è costante perché determinata dalla funzione, che è quella di sviluppare la velocità massima nella caccia ad inseguimento a vista. Il tipo di preda ed il clima della regione geografica di origine ha influenzato le dimensioni e la lunghezza del pelo: i cani che cacciavano piccoli animali come lepri e gazzelle sono più leggeri e piccoli, quelli che si dovevano cimentare contro lupi, cinghiali, leopardi o cervi hanno sviluppato ovviamente una taglia più cospicua.
    Esistono due ceppi di levrieri:
    gli orientali (Saluki, Sloughi, Azawak e Afghano) e gli europei (Greyhound, Deerhound, Irish Wolfhound, Whippet, Piccolo levriero italiano, Borzoi russo, Galgo spagnolo, Magiar Agar e levriero polacco).
    I cani orientali, differenziati l’uno dall’altro più che altro dalla lunghezza del mantello, sono caratterizzati da linee più spigolose, con dorsale orizzontale e rettilinea, orecchie pendenti, e hanno un’indole più selvatica dei cugini europei. Sono discendenti diretti di cani usati nella caccia e tenuti unicamente per questa funzione. I musulmani hanno un rapporto abbastanza ostile con i cani, e i levrieri sono un’eccezione a questa repulsione unicamente per la loro utilità nella caccia. Venivano persino ammessi nelle tende, ma per dividere comunque la spartana vita dei nomadi. Il tipo di caccia era abbastanza istintivo, non particolarmente curato nell’aspetto stilistico, e non bisognoso di addestramenti specifici. La preda veniva localizzata dai cacciatori a cavallo, eventualmente con l’aiuto di altri cani o falchi, a quel punto venivano liberati i levrieri che inseguivano e atterravano l’animale (spesso tramortito dalla violenza dell’impatto ad alta velocità) che veniva poi finito dai cacciatori (il corano vieta l’assunzione di carni di animali che non siano stati macellati dall’uomo per iugulazione). Dal punto di vista comportamentale le peculiarità dei levrieri orientali sono quindi l’istinto predatorio molto marcato, che li porta ad inseguire (e raggiungere) qualunque cosa si muova, il carattere riservato e abbastanza timido, poco gratificato dai contatti fisici e non molto tollerante verso le manipolazioni. Nei confronti degli altri cani non sono particolarmente portati a competere, potendo anche cacciare in coppie o piccole mute, e non sono combattivi. L’addestrabilità è piuttosto scarsa, essendo utilizzati in un tipo di caccia molto istintiva. La tendenza a vocalizzare è bassa anche se per la loro naturale diffidenza verso gli estranei possono essere dei discreti guardiani.
    I levrieri europei, tra cui i più numerosi sono Greyhound e Whippet, hanno linee più flessuose, dorsale curvilinea, orecchie a rosa, mantello raso o ruvido. La caccia coi levrieri è stata oramai eliminata ed eventualmente sostituita con forme di sport quali Coursing (di campagna) e Racing (su pista). Fin dagli albori della razza i levrieri erano appannaggio delle classi aristocratiche presso le quali erano tenuti in grande considerazione (era vietato possedere levrieri alle classi inferiori) e spesso condividevano le sontuose abitazioni con i loro proprietari. Anche l’aspetto caratteriale era quindi seguito e coltivato nella selezione. Pur essendo sempre cani diffidenti i levrieri europei sono più docili degli orientali, ancor meno competitivi verso i conspecifici (durante le corse è un comportamento penalizzato pesantemente attaccare gli altri concorrenti). Possono sorgere problemi per aggressioni verso piccoli cani, scambiati per prede, oltre che ovviamente verso gatti conigli e animali da cortile o selvatici. L’impulso all’inseguimento è sempre marcatissimo, la tendenza a vocalizzare scarsa e la tolleranza alle manipolazioni maggiore di quella dei parenti orientali.
    La reattività generale verso gli stimoli sonori è in genere abbastanza bassa, come il livello di attività generale, mentre la sensibilità agli stimoli visivi, in particolare verso gli oggetti in rapido movimento, è stata selettivamente aumentata.
    La tendenza ad usare l’olfatto è decisamente scarsa. Se si garantisce loro la possibilità di muoversi quotidianamente all’aperto i levrieri, specialmente di ceppo europeo, sono cani abbastanza adatti alla vita di città per l’indole silenziosa, discreta e fondamentalmente abbastanza pigra e poco combattiva.

    Fonte www.canilistatali.it

    I TERRIER

    Il gruppo raccoglie svariati cani, suddivisi a seconda delle funzioni, della struttura fisica e dell’utilizzo in terrier a gamba corta, a gamba lunga, di tipo bull, e toy.
    Quasi tutti oggi sono usati come animali da compagnia, ma la loro origine è sicuramente di cani da lavoro. Le diverse razze si sono quasi tutte formate in regioni o contee diverse della Gran Bretagna, ma la funzione era praticamente quasi sempre quella di cacciatori di nocivi quali topi, ratti, volpi, tassi e altri mustelidi. Questi, contrariamente ad altri ausiliari, usati da nobili e aristocratici nella caccia sportiva, erano i compagni delle classi popolari, frugali ed efficaci nella loro funzione. Vivevano a stretto contatto con i loro padroni cui erano molto legati, rendendosi utili come derattizzatori, come guardiani avvisatori, e anche come piacevoli compagni.
    Contrariamente allo sport venatorio, in cui la componente stilistica era in realtà più importante del risultato stesso (era riservato a classi di ceto elevato che non lo facevano per procacciarsi effettivamente il cibo) i Terrier svolgevano una funzione realmente utile per la sopravvivenza dei proprietari eliminando i competitori per il cibo. Per essere massimamente utili ed efficaci non dovevano richiedere un grosso addestramento, infatti la predazione si basava prevalentemente su pulsioni istintive, e il conduttore non doveva praticamente intervenire.
    Nella caccia i Terrier dovevano scovare con tenacia le loro prede, tutte piuttosto combattive e determinate a sopravvivere, spesso simili o superiori a loro per taglia e forza, e ucciderle. Una caratteristica del lavoro dei Terrier è il fatto che durante lo scovo in tana il cane deve continuare a segnalare con la voce al cacciatore la sua posizione, la tendenza ad abbaiare è quindi marcata come ovviamente il livello di vigilanza e prontezza alla reazione. È stato verificato che questa reattività è stimolata molto più facilmente da stimoli sonori e visivi, piuttosto che non olfattivi come accade invece nei segugi negli Spaniel e nei cani da ferma (Scott e Fuller, 1965).
    L’abilità nel lavoro dei Terrier era tale che spesso i proprietari cominciarono a organizzare gare e scommesse fin tanto che alcune razze si specializzarono nel combattimento con altri animali e poi con altri cani.
    La tenacia e la velocità dei soggetti da caccia furono mescolate con la forza e la potenza del morso dei molossi, ottenendo gli antenati di bulldog, staffordshire, bull e pitbull. Numerose sono le caratteristiche dei Terrier che li rendono adatti alla vita di città in veste di cani da compagnia, anche perché fin dalle origini venivano spesso tenuti in famiglia durante i periodi in cui non lavoravano.
    La taglia è abbastanza contenuta, l’aspetto accattivante, il carattere allegro e pronto al gioco anche in età avanzata. Se ben educati sono sufficientemente obbedienti e collaborativi anche se la loro tenacia richiede un proprietario dotato di esperienza. Analizzando i difetti bisogna notare che spesso la soglia di reazione per quanto riguarda i comportamenti competitivi è piuttosto bassa mentre la combattività è alta.
    L’istinto predatorio è radicatissimo e molto ben sviluppato. Tendono ad abbaiare con facilità, a dispetto della piccola taglia hanno un notevole bisogno di muoversi e sono molto attivi, reattivi ed eccitabili. Quasi tutte queste caratteristiche tendono ad essere molto ereditabili (Hart e Hart, 1988. Willis, 1995).
    La funzione del proprietario consapevole è quella di orientare queste pulsioni innate in maniera socialmente accettabile per sé e per gli altri. Specialmente i Terrier di tipo Bull come Bull (di taglia normale e nana), Staffordshire inglese e americano (cui si può aggiungere il Pitbull, anche se è una razza non riconosciuta) sono tendenzialmente molto competitivi con i conspecifici: l’attitudine a lottare all’ultimo sangue con le prede è stata trasferita nella lotta tra cani.
    È stato sovvertito il comportamento originario del lupo, che ritualizza le lotte interne al branco rendendole incruente per non minare l’efficacia predatoria (e quindi la possibilità di sopravvivenza), e sono stati selezionati soggetti che perdono facilmente la capacità di recepire i normali segnali di inibizione della sequenza aggressiva. Le tendenze competitive di questi cani sono generalmente indirizzate verso i conspecifici che sono uno stimolo preferenziale per scatenare un’aggressione, mentre il rapporto con gli uomini è spesso ottimo, tanto da renderli piacevolissimi compagni per un proprietario che abbia saputo conquistare una posizione gerarchicamente stabile.
     
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